La disposizione presente nell’art.2236 c.c è stata ascritta tra quelle con l’obiettivo di conciliare due esigenze: cercare di non mortificare l’iniziativa del professionista col timore d’ingiuste rappresaglie in caso d’insuccesso e di prevenire il rischio di indulgere verso non ponderate decisioni o riprovevoli inerzie del professionista stesso.
Questo speciale regime di responsabilità presente nel codice civile è destinato agli esercenti di professioni sanitarie (e non) in modo da ripararli da condanne risarcitorie in caso di colpa lieve ogni volta la prestazione richiesta implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà.
Si è infatti affermato che un intervento chirurgico di norma routinario non può ritenersi di speciale difficoltà semplicemente perché durante l’operazione si verifichino complicanze (si fa riferimento a Cass. civ., sez. III, 22 novembre 2012, n. 20586: un quadro anatomico più complesso può solo indicare maggiore attenzione del chirurgo, ma non esclude la routinarietà dell’intervento).
La sentenza n.18307 del 2015 si è pronunciata proprio sulla dualità tra prestazioni sanitarie facili e difficili a proposito di un giudizio propugnato contro un dentista per cattivo esito di una fistola oro-antrale. Il paziente, non soddisfatto dei risultati della terapia con il dentista, chiedeva di ribaltare il verdetto alla Corte d’Appello per obbligo di risarcimento.
Il Supremo Collegio vede nella motivazione una visione generale riassuntiva delle regole pretori sulla ripartizione degli oneri, mostrando la stessa linea di pensiero in decisioni passate (es. Cass. civ., sez. III, 20 ottobre 2014, n. 22222; Cass. civ., sez. III, 9 ottobre 2012, n. 17143; Cass. civ., sez. III, 25 settembre 2012, n. 16254; Cass. sez. VI, 29 luglio 2010, n. 17694; Cass. civ, sez. III, 8 ottobre 2008, n. 24791).
Soffermandoci a capire meglio il confine tra esecuzione facile e difficile, facciamo riferimento a cosa si era stabilito nel caso esaminato da Cass. civ., sez. III, 16 novembre 1988, n. 6220, in cui un’atrofia testicolare era insorta a seguito della recisione del canale deferente avvenuta nel corso di un’operazione di ernia:
- a) a fronte di un intervento di routine, il paziente adempie l’onere a suo carico provando dapprima che l’operazione era di facile esecuzione e subito dopo che ne è derivato un risultato peggiorativo, dovendosi presumere l’inadeguata o non diligente esecuzione della prestazione professionale del sanitario, con la conseguenza che spetta al professionista fornire la prova contraria, cioè che la prestazione era stata eseguita idoneamente e l’esito peggiorativo era stato causato dal sopravvenire di un evento imprevisto e imprevedibile oppure dalla preesistenza di una particolare condizione fisica del malato, non accertabile con il criterio dell’ordinaria diligenza professionale;
- b) diversamente, quando la prestazione sanitaria sia di difficile esecuzione, il paziente deve provare, ai fini dell’accertamento della responsabilità del medico, in maniera precisa e specifica le modalità di esecuzione dell’atto e, se del caso, delle prestazioni post-operatorie.
Con la sentenza n. 18307 del 2015, la Corte d’Appello afferma che la distinzione fra prestazione di facile esecuzione e prestazione implicante la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà non funge da criterio di ripartizione dell’onere della prova, ma rileva soltanto ai fini della valutazione del grado di diligenza e del corrispondente grado di colpa, spetta quindi al professionista dimostrare la difficoltà della prestazione avvenuta.
In sintesi, il paziente non è costretto a provare la colpevolezza del sanitario, ma ha unicamente l’onere di dedurre qualificate inadempienze, in tesi idonee a porsi come causa o concausa del danno (Cass. civ., sez. III, 31 gennaio 2014, n. 2185), precisando che il risultato “anomalo” dell’intervento è rilevabile in caso di aggravamento dello stato patologico, in caso di manifestazione di una nuova patologia e in caso in cui l’esito non ha prodotto il miglioramento oggetto della prestazione è tenuto il medico (Cass. civ., sez. III, 13 aprile 2007, n. 8826).
Resta al professionista sanitario l’onere di dimostrare l’ineccepibile esecuzione e che quindi l’inadempimento, anche se concretizzato, non può essere considerato fonte del pregiudizio.
(Fonte: www.lamedicinalegale.it del 10/10/2015)